Ora dirò della città di Zenobia che ha questo di mirabile: benché posta su terreno asciutto essa sorge sul altissime palafitte, e le case sono di bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi, poste a diversa altezza, su trampoli che si scavalcano l’un l’altro, collegate da scale a pioli e marciapiedi pensili, sormontate da belvederi coperti da tettoie a cono, barili di serbatoi d’acqua, girandole marcavento, e ne sporgono carrucole, lenze, gru. Quale bisogno o comandamento o desiderio abbia spinto i fondatori di Zenobia a dare questa forma alla loro città, non si ricorda, e perciò non si può dire se esso sia stato soddisfatto dalla città quale noi oggi la vediamo, cresciuta forse per sovrapposizioni successive dal primo e ormai indecifrabile disegno.
da “Le Città Invisibili” – Italo Calvino
Quando si parla di Oriente, è più corretto riferirsi all’ambito semantico della magia che significa insieme il lontano e lo sconosciuto, ragion per cui l’artigiano de Le città invisibili di Calvino non è solo artifex, bensì anche interpretans di una realtà visionaria che si estende oltre i confini della parola. Se, per tratteggiare la “città sottile” di Zenobia, Marco Polo parla di palafitte, archi e scale a pioli, la cartapesta, con il suo aspetto estremamente materico e la consistenza pastosa della colla di farina, sembra poco adatta a rendere l’idea della leggerezza, tuttavia proprio qui si concentra la sfida che il progetto propone: una sfida della mente e delle mani che, coadiuvandosi, valicano la raffigurazione per entrare nel territorio, assai più suggestivo, della resa concettuale e simbolica. Così, di Zenobia, non saranno riprodotti – termine del tutto inappropriato cui si fa ricorso solo per mancanza di un termine più pertinente – le palafitte o i marciapiedi pensili, né i ballatoi e i balconi, ma, più semplicemente, le scale e, precisamente, una scala in cartapesta sospesa nel vuoto con nastri e stendardi legati alla struttura. I nastri, non soltanto scelti in virtù di un canone estetico, richiameranno le preghiere nepalesi con le quali ci si propizia il favore del giorno e si augura la pace ad amici e nemici.
Carmen Rampino – Oggetti in cartapesta
Il laboratorio nasce nel 1993 in P.tta Riccardi, 6 in Lecce nei pressi della Basilica di Santa Croce. Probabilmente, la suggestiva cornice ispira la mente e le mani dell’artista che realizza opere di varia natura: dalla bigiotteria in cartapesta alle opere di grandi dimensioni come per esempio sedie che hanno caratteri antropomorfi e segnatamente femminili, figure che richiamano la tradizione mitologica greca e la mitografia cristiana, fischietti in terracotta per collezionisti.